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Il punto

“Un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca.”
(Paradiso XXVIII, 16-21)


Dante , in questi versi, per descrivere ai lettori la visione di Dio da lui avuta nel Paradiso, decide di far ricorso al concetto tutto euclideo di punto geometrico.
Quel punto emette una luce tanto intensa che l’occhio colpito è costretto a chiudersi per l’insostenibile
luminosità da esso irraggiata; eppure a Dante appare così piccolo che qualsialsi stella, per quanto appaia
minuscola ai nostri occhi, sembrerebbe grande come la luna piena se fosse posta vicina ad esso.
Il punto euclideo è privo di dimensioni, quindi indivisibile e immateriale, e dunque secondo Dante è il
simbolo più appropriato di Dio.

Geometria: Chi siamo
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L'angolo

“O cara piota mia, che sì t’insusi,
Che come veggion le terrene menti
Non capere in triangol due ottusi,
Così vedi le cose contingenti
Anzi che sieno in sé, mirando il punto
A cui tutti li tempi son presenti”
(Paradiso XVII, 13-18)
“Piota” è la pianta del piede in dialetto fiorentino, e quindi è una metafora per indicare “la mia radice”, cioè
“il mio antenato”. Questa “piota”, cioè Cacciaguida, è descritta come colui che “si insusa”, cioè si innalza, al
punto da conoscere gli eventi prima ancora che si avverino, leggendoli in Dio.
Del fatto che Cacciaguida possieda una capacità di chiaroveggenza Dante è sicuro: ne è certo quanto del
fatto che in un triangolo non possono sussistere due angoli ottusi. Infatti con il Quinto Postulato di Euclide si dimostra il seguente teorema:
- La somma degli angoli interni di un triangolo è pari ad un angolo piatto.
Siccome un angolo ottuso è maggiore di 90°, la somma di due angoli ottusi sarà maggiore di 180°; di conseguenza

in un triangolo non potranno mai essere contenuti due angoli ottusi.
Con la stessa sicurezza con cui l’uomo è in grado di dimostrare che in un triangolo non possono convivere
due angoli ottusi, altrettanto Dante è certo che Cacciaguida è in grado di prevedere passato, presente e
futuro. Ma l’immagine che l’autore ci vuole comunicare è ancora più raffinata: nella fantasia del lettore si
affiancano infatti due figure di segno opposto. Da un lato il triangolo che nella finitudine dell’angolo piatto
non può contenere i due eccessivamente aperti angoli ottusi; dall’altro il simbolo per eccellenza della
finitudine, il punto, che invece riesce ad accogliere in sé l’infinito e l’eternità. È lo scacco della ragione
umana, l’abisso incolmabile tra finito e infinito, che Dante riesce ad esprimere proprio usando la geometria.

Geometria: Benvenuto
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Il compasso

Dante non limita certo le proprie conoscenze di geometria all’utilizzo di un semplice concetto in senso
allegorico.
Egli sa utilizzare gli strumenti propri della geometria, come ad esempio il compasso.
“Colui che volse il sesto
a lo stremo del mondo, e dentro ad esso
distinse tanto occulto e manifesto”

(Paradiso XIX, 40-42)
Quel “sesto” è proprio il compasso, che veniva chiamato in questo modo perché poteva essere aperto fino
ad un sesto del cerchio, cioè fino a 60°.
Si noti che, attraverso questa immagine, il Signore è rappresentato proprio come un geometra, che traccia i confini del mondo esattamente come un architetto fa con l’edificio che deve costruire.

Geometria: Chi siamo
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Rettificazione della circonferenza

Dante usa l’immagine di un geometra del Medioevo che combatte con i calcoli allo scopo di misurare il cerchio, eppure non riesce a trovare il principio di cui manca per risolverlo.
L’autore rievoca qui l’antichissimo problema della rettificazione della circonferenza, ormai divenuto uno dei simboli dell’impossibilità umana di conoscere tutto, tanto che Dante ne aveva già parlato nel Convivio.
Stavolta però il riferimento all’impossibile quadratura del circolo non è affatto casuale: ci troviamo
nell’ultimo Canto del Paradiso e la straordinaria visione che Dante si trova di fronte è Dio stesso.
Egli ha visto apparire il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sotto forma di tre cerchi di diverso colore ma di uguale raggio (“di tre colori e d’una contenenza” (Par. XXXIII, 127-128)), perché le tre persone della
Santissima Trinità sono della stessa natura ma diverse nei loro attributi.
Ad una osservazione ancora più attenta il cerchio del Figlio appare a Dante dipinto dentro di sé, del suo stesso colore, con l’immagine dell’uomo. È questo il Mistero dell’Incarnazione, che Dante con le sole forze della ragione non può riuscire a penetrare, esattamente come il geometra non riuscirà mai a rettificare il cerchio. Ciò che Dante vuole trasmettere al lettore è il vero e proprio dramma dell’intellettuale, che tenta e ritenta, ma deve ad un certo punto ammettere i limiti delle proprie capacità razionali

Geometria: Chi siamo

Il problema della quadratura del cerchio si può esprimere in due modi:

-data una circonferenza, trovare un quadrato o un rettangolo il cui perimetro abbia la stessa lunghezza della circonferenza;

-dato un cerchio, trovare un quadrato o un rettangolo la cui area abbia la stessa estenzione del cerchio

Il problema fu dimostrato già nell'antichità greca, l'impossibilità di esso fa riferimento al tentativo dei matematici greci di dimostrare il problema con riga e compasso (oggi sappiamo che ciò è impossibile) ed è quindi dovuta alle modalità e agli strumenti utilizzati.

C'è da dire che per "quadrare il cerchio" spesso si intende una visione diversa, anche se equivalente alla precedente, e cioè trovare l'esatto valore del rapporto (costante) tra la lunghezza di una circonferenza e quella del suo raggio.
Oggi sappiamo che tale valore è circa π=3,14

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Geometria: Benvenuto
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